Gianni Turin
GIANNI TURIN, nasce a Bagnoli di Sopra, Padova, nel 1959.
Formatosi sotto la guida di Emilio Vedova all’Accademia di Belle Arti di Venezia, da lui ha attinto la passione per la materia, il gesto, la sperimentazione coinvolgente, il frammento di vita vissuta, quali ispiratori della sua opera. Per indole personale si allontana dalla passionalità sanguigna di Vedova, immaginando una “lotta” priva di contrasti e scosse, lontana da ironie, drammi e passioni, collocata in una sorta di limbo apolitico. Da un punto di vista personale, progressivamente volge il proprio spirito ad una forma profonda di cattolicesimo, vissuto come ancora di salvezza nel dramma dell’esistenza. Significativa Il sudario di una nuova passione del 1984, opera donata al Santo Padre Papa Giovanni Paolo II.
Agli inizi, nella seconda metà degli anni Settanta, la sua ricerca si sofferma su quella zona di confine tra ombra e luminosità, fra tenebre e luce, recuperando un luogo ossessivo di Vedova, quello della spettralità dei grigi. La grigia atmosfera per l’assenza del colore, avvolge il racconto, ne smorza i toni, confonde le cose, quasi a mortificarle e il moto del segno esprime un itinerario alla cui fine il personaggio è solo. A distanza di una trentina d’anni, il sociologo Sabino Acquaviva scriverà che le opere iniziali di Turin fanno rivivere un periodo in cui regnavano insieme scontro, sofferenza, fantasia, desiderio di inventare il futuro e incapacità di coglierne le caratteristiche. Sono queste le Atmosfere degli “Anni di piombo”.
Nella seconda stagione , quella delle Energie sembra non solo tendere ad azzerare la grafia di parole che a malapena si intravedono, ma anche a registrare l’attimo, quasi per un supremo timore della morte, dando per titolo giorno mese ed anno di esecuzione dell’opera. Qui il colore irrompe ed è vigoroso, pieno di sensitività intrecciando assonanze e dissonanze in una risultante colma di energia, che si organizza seguendo un disegno mentale inconscio eppure rigoroso.
Verso la metà degli anni Ottanta si fa strada una nuova consapevolezza poetica, sembrano ritornare le immagini dolorose e quasi prive di vita degli anni delle Atmosfere e che preludono alla nuova stagione dei Silenzi. L’uomo con le sue ambivalenze medita cercando nella requie di “fare il punto”. Le opere parlano con le loro facce di uomo: Soggetto o Mito fa lo stesso.
La natura più intima della serie dei Silenzi sembra essere il tentativo di uscire dal limite delle due dimensioni per abbracciare architettonicamente lo spazio circostante, ma anche di catturare frammenti di vita, riposti come reliquie all’interno di contenitori chiusi. Una tendenza, a quella che Calvino definiva la “leggerezza”, vale a dire il togliere nel linguaggio tutto quello che lo avvicinava alla consistenza delle cose reali.
Il processo, afferma Sileno Salvagnini in occasione dell’Antologica del 2009,
pare completarsi nelle opere tridimensionali degli ultimi anni nelle quali eccitazioni, incertezze, desideri, timori si sono solidificati invadendo completamente lo spazio e, la ritrovata classicità, non è modello formale ma una pratica di meditazione.
La conferma a tali intenzioni è la mostra Sette croci per sette chiese del 2012 dove le opere, come sottolinea il curatore p. Ildefonso M. Chessa, dialogano pienamente con la storica Basilica di Santo Stefano in Bologna. Un percorso originale di Turin che si confronta con la dimensione mistica e misterica della croce gloriosa di Cristo cercando di spostare il fulcro dell’immagine oltre quel senso che altrimenti rischia di cadere nella retorica.
E’ la riscoperta, scrive il sociologo Sabino Acquaviva, del significato della morte nello spazio della sua capacità di attribuirle un valore religioso profondo, che spesso sfugge ai contemporanei, travolti da una quasi incontrollabile trasformazione tecnico scientifica e culturale della nostra civiltà.
Aspetti che con la mostra E-pi-gra-fi-e / Sacrificio e memoria del 2016, sono riportati, come indicano i curatori Sandro Gazzola e Giuliana Ericani, su un piano universale per considerare il ruolo dell’uomo nella storia in rapporto alla violenza e fondando la propria riflessione sul principio della dignità umana e sui modi con cui tale dignità affronta e supera la devastazione fisica, psicologica e morale. E’ un dialogo emozionale che partecipa dell’anima dello Storico Museo Civico di Bassano del Grappa dove alcune opere sono messe in relazione ad alcuni capisaldi del patrimonio museale come il Guariento, Jacopo Bassano, Piazzetta e Canova.
Un’idea questa consolidata nel 2017 nell’ambito del progetto Diffusa 17 / Sacrificio e memoria, un evento concreto di sinergia tra musei della città di Bologna dove ciascuno coerentemente con la propria identità, ha dato disponibilità affinché una vera e propria “mostra diffusa” si realizzasse.
Qui, l’ostinato, severo lavoro di ricerca di Turin in materia di memoria, che nelle sue opere diviene riflessione storica e riflessione sociale, in una dimensione etica impegnativa, interloquisce con istituzioni di cultura storica, ponendo questioni aperte che, come ricorda p. Andrea Dall’Asta: in un mondo sempre più dominato da immagini virtuali e artificiali, prive di densità simbolica, le opere di Turin assumono il valore di “epigrafi”, di testimonianze, esprimendo quella ricerca di senso che abita nel più profondo di ogni uomo. Questi “segni”, sottolinea Paolo Senna, innervano la memoria, che non è il semplice ricordo: essa ha a che fare con l’esperienza universale degli esseri e perciò custodisce verità essenziali che hanno valore assoluto. Questo ricco utilizzo di formule di tempi e contesti diversi, sostiene Carmen Lorenzetti, mostra una sensibilità postmoderna senza avere di questa pratica la superficialità e l’indifferenza, perché le formule vengono prese in prestito e trasfigurate nel presente con profonde motivazioni e con significati che circuivano perfettamente il passato con il presente: “E’ l’attimo in cui il passato carico di futuro transita attraverso il presente cronologico” e ”Tutto ciò che è stato vive nel futuro indistinto”, scrive Eleonora Frattarolo, citando Remo Bodei.
La straordinaria sapienza tecnica con cui Turin costruisce le sue iconiche opere è frutto di una lunga esperienza e di un’amorosa attenzione per i materiali ed il loro significato simbolico. E’ un’attitudine che lo mette in relazione con le ricerche più aggiornate degli ultimi anni, che recuperano il fare, la manualità, l’arte in quanto raffinata sapienza anche materiale in opposizione alla freddezza e ripetitività delle forme industriali. In questo contesto, ricco di emozioni, interagiscono a pieno titolo lo “sguardo” musicale del compositore Gianmartino Durighello e le riprese dei registi Giorgia Lorenzato e Manuel Zarpellon dedicati all’opera di Turin.
Nel 2019 l’esposizione Memoriale a Venezia, scrive il curatore Sandro Gazzola, rappresenta l’ulteriore dilatazione delle tappe di Bassano del Grappa e Bologna, città come luoghi della storia che rappresentano la genesi dell’idea che l’artista sta conducendo in questo tempo. L’evento ha coinvolto quattro significative sedi veneziane dal valore laico, religioso, scientifico ed economico necessarie per la creazione di un dialogo costruttivo con le opere. Diverse potenzialità creative hanno dato il loro contributo: la filosofia, il video, la musica e le tecniche applicate dall’artista stesso, capaci di creare una sorta di microuniverso, utile a proporre un messaggio orientato alla realtà globale, indispensabile nelle sue fasi critiche, nelle quali il termine crisi è accostabile al concetto di fase evolutiva. Memoriale, sostiene Alberto Peratoner, addensa e concentra una costellazione di significati che vanno ben oltre la mera evocazione di drammi epocali, perché esprime innanzitutto la ragione di unificazione della consapevolezza storica e culturale di una Nazione e della sua costitutiva disposizione alla relazione al mondo.
La mostra ha condiviso valori con identità apparentemente molto distanti, come il coinvolgimento nelle manifestazioni del Carnevale, perché il concetto della maschera è stato proposto con riflessioni in termini metafisici e mistici, dove i “volti senza volto” di Turin, scrive Gianmatteo Caputo (Rettore del Santuario di Lucia), ci smascherano: sono tutt’altro che maschere o trucchi che cercano di affascinarci o di sedurci, non sono ne manipolazioni ne trasformazioni di identità precise, non stabiliscono un rapporto di sudditanza o potenza, attrazione o repulsione. Anche per questo le opere stanno in perfetto dialogo sia con la festa carnevalesca e i suoi mascheramenti, sia con l’immagine del volto della santa. Senza prediche né toni oratorî, scrive il filosofo politico Giuseppe Goisis, tali opere danno da pensare, sollecitano una riflessione approfondita, testimoniando l’ambiguità della relazione tra maschera e volto. Si manifesta qui un’intuizione artistica capace di prender forma, direi carne, in maniera spontanea e ammirevole. Perché, come suggeriscono le filosofie di Ricoeur e Lévinas, la maschera precede il volto, il volto nella sua dispiegata autenticità. Un luogo espositivo e di meditazione capace di proseguire spontaneamente nelle altre sedi secondo una visione fatta dei molteplici punti di vista dell’universo umano. Una delle strategie più importanti usate da Gianni Turin, ribadisce Carmen Lorenzetti, è quella del dialogo e della relazione con il contesto storico e geografico in cui si trova ad operare. E la mostra veneziana non fa eccezione. E’ una logica che ha visto generalmente negli ultimi anni un’accelerazione dovuta alla volontà di adattare l’antico e il moderno al contemporaneo, uscendo dallo schema asettico del “white cube”, in una “rimaterializzazione” delle epifanie oggettuali e in un dialogo tra passato e presente capace di recuperare significati e assonanze profonde. Infatti da più parti negli ultimi anni, sulla scorta tra gli altri di Agamben e del suo “Cos’è il contemporaneo?”, fiorisce un dibattito sulla collocazione e le caratteristiche dell’arte contemporanea, con una voglia oggi di recuperare forme e valori che si reputano eterni e immutabili, di individuare cioè caratteristiche costanti e profondamente umanistiche anche, nonostante le rivoluzioni tecnologiche, nonostante l’abuso di immagini e della comunicazione. L’arte quindi, sembra lecito affermare, in linea con questa mostra, è sempre contemporanea e, riprendendo Goisis: se si considerano tanti manufatti dell’arte contemporanea, soprattutto quelli più rappresentativi e significativi per la loro radicalità, si può cogliere a fondo lo spaesamento, la perdita del centro e l’annichilimento della forma che anche le opere di Turin, con vigore qualitativo, indagano e rappresentano. Attraverso la forza delle immagini dunque, la memoria, che lavora simbolicamente, seleziona i mille filamenti delle micropercezioni sensoriali, le unifica e le iconizza, costituendo, davanti alla nostra mente, un humus ricco di senso, dal quale poter scegliere i ricordi più significativi. Ciò che brilla all’osservazione e all’interpretazione è che la memoria, per l’Artista, non è un semplice meccanismo associativo, ma un denso e consapevole rievocare, un riconoscere, pregnante di sostanza etica. Una concezione, profonda e in un certo senso “spirituale”, della memoria, che avvicina Turin all’itinerario speculativo di Henri Bergson: la memoria agisce simbolicamente, nel senso che unisce, sintetizza, di volta in volta, in un’immagine. Le varie fasi attraverso le quali è maturata l’esperienza di Turin sono riconducibili ad un’unica meta: ridare il senso della vita all’uomo smarrito. La sua ricerca, scrive l’Emerito professore Andrea Emiliani, si incammina verso il futuro, e dunque verso una nuova incomparabile vita. Molte ragioni la svelano come più resistente per le forze congiunte di fede e del coraggio di vivere.
Hanno scritto:
Sabino Acquaviva, Luca Alessandrini, Fiorenzo Barindelli, Maria Rita Bentini, Franco Bertaccini, Pier Franco Bertazzini, Vittorio Boarini, Pietro Bonfiglioli, Rosalia Burzotta Di Blasi, Beatrice Buscaroli, Gianmatteo Caputo, Luciano Caramel, Sergi Cazzaniga, Claudio Cerritelli, Laura Cherubini, Ildefonso Mario Chessa, Giovanna Ciccotti, Anna Coliva, Ari Antonio Colombo, Maria Antonietta Crippa, Andrea Dall’Asta, Monica Demattè, Michele Di Francesco, Santa D’Innocenzo, Gianmartino Durighello, Andrea Emiliani, Giuliana Ericani, Vittorio Fagone, Luigi Fraccalini, Sandro Gazzola, Ivan Giovannucci, Giuseppe Goisis, Flaminio Gualdoni, Luciano Guazzarini, Francesco Guazzo, Nereo Laroni, Carmen Lorenzetti, Ketty Magni, Claudio Marra, Vincenza Maugeri, Corrado Mauri, Federica Millozzi, Luigi Montobbio, Stefano Ottani, Demetrio Paparoni, Stefano Walter Pasquini, Alberto Peratoner, Gigi Ponti, Carla Rugger, Sileno Salvagnini, Otello Sangiorgi, Simonetta Santucci, Maria Teresa Secondi, Paolo Senna, Chiara Sirk, Claudio Spadoni, Ermanno Tedeschi, Maria Grazia Torri, Angelo Trimarco, Paolo Vaghi, Emilio Vedova, Giordano Viroli, Dario Visentin, Massimo Zanello, Ferdinando Zanzottera.
Dal 1980 ha esposto in mostre collettive e personali; alcune sue opere sono inserite in collezioni museali; ha realizzato opere pubbliche. Nel 1984 dona un’opera al Santo Padre Papa Giovanni Paolo II ; nel 2012 la mostra “Sette croci per sette chiese” fa parte di Arte Fiera Off di Bologna; nel 2013 partecipa al Progetto Europeo“Counternarration for Counterterrorism” con sette opere; nel 2016 la mostra “E-pi-gra-fi-e/Sacrificio e memoria”viene inserita nell’ambito delle celebrazioni del Centenario della Grande Guerra presso il Museo Civico di Bassano del Grappa; nel 2017 la mostra “Diffusa 17” di Bologna è stata associata alle “Giornate Europee del Patrimonio” promosse dal MIBACT, nello stesso anno partecipa, su invito, alle Giornate di studio interdisciplinari sul tema “La libertà di espressione artistica“ promosse da: Fondazione Forense Bolognese – Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, Conservatorio di Musica Giovanni Battista Martini di Bologna e Università di Bologna Scuola Superiore di Studi Giuridici; nel 2019 la mostra veneziana “Memoriale” è inserita nel programma del Giorno della Memoria 2019 e contemporaneamente la mostra “Il Volto. La Maschera. Il Sacro” fa parte del palinsesto delle iniziative culturali per il Carnevale di Venezia.
Recensito in diverse testate giornalistiche, emittenti televisive e in un servizio Rai; ha collaborato con compositori musicali e registi. E’ docente all’Accademia di Belle Arti di Bologna.