L’ingannevole realtà del femminismo
Pregiudizi e stereotipi di un movimento illusoriamente paritario
In occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ricorrente oggi 25 novembre, proponiamo una mirata riflessione sul tema affrontato da un diverso punto di vista, quello dell’autore Santiago Gascò Altaba.
Lo facciamo segnalando l’imminente uscita, in dicembre, del secondo volume de La grande menzogna del femminismo, edito dalla Casa Editrice Persiani; un’opera che conclude puntualmente la monumentale trattazione circa il tema più scottante dell’epoca moderna: quello sollevato dal movimento femminista.
Rilevando la preponderanza di testimonianze femminili nell’ambito, l’autore fornisce un punto di vista sul tema, offrendo:
«una rigorosa e ambiziosa ricerca che documenta tramite fonti precise […] le falsità che per decenni hanno alimentato una corrente di pensiero dichiaratamente contro l’uomo».
Quella propugnata dall’autore è una critica che, focalizzandosi sulla riduzione dell’individuale al collettivo – dunque della singolarità al gruppo sessuale – da parte del femminismo, ne critica le interne incongruenze, mostrando tuttavia inevitabilmente come le stesse leggi interne a tale movimento fossero già dominanti in epoca passata, evidenziando il problema sociale da cui il femminismo ha avuto origine: la valutazione categoriale a favore di una collettività limitante, discriminatoria.
La denuncia delle disparità sociali si articola dunque nella lotta contro l’ideologia femminista dominante, contro quei:
«manuali di ingegneria sociale che restano impigliati nella stessa logica che cercano di combattere: costruiscono sistemi e strutture mentali e sociali che loro stessi affermano di voler distruggere».
L’intera analisi dell’autore si erge in difesa del genere maschile, disprezzando la divisione categoriale generata – ma in realtà sempre esistita – dal femminismo, attingendo tuttavia ai suoi stessi mezzi. Ciò sottolinea indirettamente – anche attraverso le testimonianze di personalità storiche quali Jaspers, Bauman, Kierkegaard, Gandhi e altri – come la forma mentis dell’Uomo moderno sia inevitabilmente frutto di una classificazione di genere che vede le sue radici agli albori della storia, sedimentatasi nel progresso culturale attraverso i secoli.
«Sembra che Dostoevskij avesse affermato che nessun evento al mondo vale le lacrime di un bambino. Chi dice un bambino, dice un essere umano. […] Basta la sofferenza di un solo uomo discriminato a squalificare qualsiasi misura che si arroga la salvezza di migliaia di donne»,
scrive l’autore. Chi dice essere umano, tuttavia, dice sia uomo che donna.
Ponendosi contro la discriminazione positiva, Gascò Altaba denuncia le incongruenze sollevate dal femminismo stesso, sottolineando come un movimento finalizzato all’affermazione della parità dei sessi ottenga invece una loro ancor più marcata differenziazione, a scapito non solo dell’uomo, ma, aggiungiamo noi, della donna stessa. In ambito scolastico, scrive l’autore, «obiettivi espliciti sono di combattere la discriminazione contro le bambine, di prevenire la violenza contro le bambine, di promuovere l’empowerment delle bambine; in pratica, si tratta di rieducare i bambini e proteggere le bambine». Tale affermazione sottolinea inevitabilmente come il femminismo stesso, corrente paladina dell’emancipazione femminile, etichetti la donna come “sesso debole”, bisognosa dunque di cure e attenzioni privilegiate rispetto all’uomo. Ciò non va tuttavia letto come un attacco al sesso femminile in sé, bensì come critica alla divisione categoriale imperante nell’odierna società consumistica, in cui maggiore attenzione dovrebbe esser riservata non a donne o uomini distinti, bensì a “esseri umani”, senza distinzione e senza privilegio, valorizzando anzi le peculiarità e le caratteristiche di ognuno, con attenzione alle ingiustizie che colpiscono ambo i sessi.