L’autrice racconta una storia, o meglio “differenti” storie ricche di rappresentazioni e sensazioni, di affermazioni e negazioni, di respiri e silenzi, di separazioni e lutti, di incontri e ritrovamenti, di memorie e dimenticanze, di presenze ed assenze, attorno al corpo, o “corpus di conoscenza”, del genere femminile situate all’interno del modello storico, culturale, sociale e politico di segno patriarcale in Occidente.
L’intento è quello di proporre una riflessione medico−antropologica attorno al concetto di trauma, riferito al genere e alle soggettività femminili, ripreso da vari campi disciplinari, dalla medicina−psichiatria, alla psicologia−psicoanalisi, all’antropologia−etnologia.
Quest’idea funge efficacemente da ponte di collegamento, in senso sia semiologico che fenomenologico, per esplorare e problematizzare le molteplici “sintomatologie” femminili che hanno contrassegnato il Novecento: un percorso che si focalizza sul cosiddetto “fenomeno isterico”, che ha dato avvio alla psicoanalisi freudiana e alle nuove “psicopatologie” della contemporaneità.
Il trauma viene usato come strumento dall’autrice per dare “differente” senso e significanza alle metafore incorporate della sofferenza psichica del genere femminile e per sottolineare l’intreccio, ineludibile e inestricabile, fra esperienza individuale e costruzioni collettive.